Sovente si assume che l’odierna società tende ad incrementare la conflittualità interpersonale, in modo sterile, improduttivo, non riuscendosi più ad assistere (o raramente riuscendoci) ad un dibattito che sia scambio di opinioni anziché di biechi insulti.A maggior approfondimento, tuttavia, non è sempre corretto attribuire al lemma “conflitto” una connotazione negativa. La sua radice latina (cum e flingere, rara voce che significa urtare, sbattere contro, si confronti, http://www.educational.rai.it/lemma/testi/cultura/conflitto.htm, ove il prefisso cum, ammorbidisce il senso della lotta e del combattimento) può ......
Sovente si assume che l’odierna società tende ad incrementare la conflittualità interpersonale, in modo sterile, improduttivo, non riuscendosi più ad assistere (o raramente riuscendoci) ad un dibattito che sia scambio di opinioni anziché di biechi insulti. A maggior approfondimento, tuttavia, non è sempre corretto attribuire al lemma “conflitto” una connotazione negativa. La sua radice latina (cum e flingere, rara voce che significa urtare, sbattere contro, si confronti, http://www.educational.rai.it/lemma/testi/cultura/conflitto.htm, ove il prefisso cum, ammorbidisce il senso della lotta e del combattimento) può recare con sé anche una connotazione positiva, laddove il conflitto rappresenta il confronto tra due o più centri di interessi differenti, portatori ciascuno di diritti e aspirazioni, in una società che il confronto consenta in quanto tendenzialmente pluralista, cosmopolita, aperta allo scambio non necessariamente (anzi, auspicabilmente non) appartenente alla medesima cultura, orientamento, età, razza. Il diritto, in questo ambito, ha una sua valenza di risoluzione del conflitto, mediante l’applicazione, a parità di posizioni, di norme che prevalgono su altre, in quanto portatrici e rappresentanti dei cosiddetti diritti fondamentali ed inviolabili. Nel nostro ordinamento, tali diritti fondamentali sono contenuti nella Costituzione e tra questi, non è revocabile in dubbio, il diritto all’istruzione è uno dei più assodati e condivisi. Il diritto di imparare, di andare a scuola, di crescere nella cultura, di emanciparsi, di progredire nella ricerca e nello sviluppo scientifico ed umano, sono un patrimonio che nessuno, a domanda, si sente di negare a chicchessia. Eppure, quando dall’astrattezza della convinzione si passa al concreto della quotidianità, sorgono i dubbi. Non è infrequente assistere alle doglianza di taluni genitori circa la frequentazione dei propri figli con altri, provenienti non solo da altri paesi, ma”irregolarmente” presenti sul territorio o di talune scuole, che al momento dell’iscrizione, si chiedono se ciò sia “conforme a legge”, se i nuovi studenti iscritti abbiano il “diritto” di farlo, se sia corretto offrire un’istruzione, se non sia necessario richiedere il permesso di soggiorno. Può trattarsi di un bambino c.d. non accompagnato o accompagnato da genitori non regolari sul territorio, in quanto sforniti dei documenti che giustifichino il soggiorno o di bambini custoditi in forza di kafala, istituto di diritto islamico allo stato non riconosciuto in Italia e preordinato alla assunzione in carico di minori abbandonati. La risposta è positiva nel senso che il diritto all’istruzione deve essere garantito ad ogni minore, sin dalla scuola dell’infanzia, a prescindere dalla sua regolarità sul nostro territorio. Impongono tale soluzione, anzitutto il dettato costituzionale, che a sensi dell’art. 34 prescrive che la scuola è aperta a tutti, senza discrimine alcuno e di poi i principi di natura sovra–nazionale, quali la Convenzione dell’ONU sui diritti del Fanciullo (ratificata e resa esecutiva i Italia con la legge 176/1991) e la Carta di Nizza (art. 14). A livello legislativo interno, la prevalenza del diritto all’istruzione sull’accertamento della regolarità dello straniero, si evince dall’applicazione della legge 94/2009 che ha modificato l’art. 6, comma 2 del Testo Unico sull’immigrazione D.lgs. 286/1998, escludendo il potere di richiedere l’esibizione del permesso di soggiorno per ottenere prestazioni sanitarie e scolastiche obbligatorie. Qualche dubbio è stato riposto in merito all’inclusione o meno della scuola d’infanzia nel novero delle prestazioni scolastiche obbligatorie. La risposta è positiva. Il diritto all’istruzione deve infatti ritenersi comprensivo di tutte le scuole di ordine e grado, ivi considerata la scuola d’infanzia, così come i servizi educativi annessi. In questo senso, si esprime l’art. 38 del T.U. Immigrazione 286/1998 secondo cui “i minori stranieri presenti sul territorio sono soggetti all’obbligo scolastico; ad essi si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di accesso a servizi educativi, di partecipazione alla vita scolastica”. Del resto, anche la scuola dell’infanzia, pur non obbligatoria, fa parte per legge nel complessivo sistema di educazione e formazione (legge 53/2003, art. 2, comma 1). La questione, non è comunque nuova. L’art. 45 del D.P.R. 394/1999 (tuttora in vigore) stabilisce che i minori stranieri presenti sul territorio nazionale hanno diritto all'istruzione indipendentemente dalla regolarità della posizione in ordine al loro soggiorno e che, se privi di documentazione anagrafica ovvero in possesso di documentazione irregolare o incompleta, possono essere iscritti con riserva. La medesima norma, al comma 2, specifica che “L'iscrizione con riserva non pregiudica il conseguimento dei titoli conclusivi dei corsi di studio delle scuole di ogni ordine e grado. In mancanza di accertamenti negativi sull'identità dichiarata dell'alunno, il titolo viene rilasciato all'interessato con i dati identificativi acquisiti al momento dell'iscrizione”. L’iscrizione con riserva, è quindi una normale iscrizione, che legittima il minore a frequentare immediatamente la scuola, secondo gli orari e le regole stabilite. Solo consente a chi lo iscriva di allegare la documentazione normalmente presente al momento dell’iscrizione stessa, in tempi successivi, fermo restando – come dice la legge – che in mancanza dei dati necessari l’eventuale titolo di studio sia comunque rilasciato con i dati posseduti dalla scuola. Sotto altro profilo ancora, è sorto anche il dubbio se la scuola sia onerata, pur dovendo accogliere il minore irregolare, ad effettuare la segnalazione della situazione alle autorità di Pubblica Sicurezza. L’opinione che emerge in commento alla pur frastagliata normativa, è negativa. Si ritiene, infatti, che la scuola, in genere, non abbia poteri accertativi e comunque per legge non possa chiedere l’esibizione del permesso di soggiorno relativamente al minore; si conviene, per altro verso, che l’eventuale segnalazione della illegalità (anche solo coinvolgendo colui che abbia iscritto il minore) rischierebbe, di far interrompere o di non far iniziare affatto il ciclo di studi al bambino, con ciò frustrando il suo diritto all’istruzione, invece garantito anche a livello costituzionale.