All'indomani dell'entrata in vigore del Decreto Legge 132/2014, come modificato dalla legge di conversione n. 162/2014, ci si era subito posti il problema di quale sarebbe stato l'inedito ruolo affidato al Pubblico Ministero e come sarebbero stati risolti i problemi che il legislatore aveva frettolosamente liquidato con l'inserimento di un mero “nulla osta” ovvero “autorizzazione” nell'indicazione dei suoi compiti.
In primo luogo il legislatore ha creato un doppio binario distinguendo i casi nei quali si sia in presenza, ovvero in assenza, di figli minori o maggiorenni portatori di handicap grave, prevedendo nel primo caso un controllo in ordine alla rispondenza dell'accordo all'interesse dei figli, mentre nel secondo caso un mero controllo di regolarità formale (“quando non ravvisa irregolarità comunica il nulla osta”).
Inoltre, in presenza di figli minori, in ipotesi di rilevata contrarietà dell'accordo all'interesse dei minori, la normativa di nuovo conio prevede la trasmissione, entro 5 giorni, di siffatto accordo al Presidente del Tribunale, il quale, nei successivi 30 giorni, dovrebbe fissare la comparizione delle parti.
Ma quale attività è chiamato a svolgere il Presidente? La norma tace sul punto e non è affatto chiaro quale sia il ruolo di un organo giudiziario chiamato ad operare a posteriori, nell'ambito di una procedura definita di degiurisdizionalizzazione, che si conclude con un accordo che produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione, di divorzio e di modifica delle condizioni.
Si noti peraltro che viene individuato il Presidente del Tribunale quale organo competente, in procedure nient'affatto simmetriche, rientrando nell'oggetto della negoziazione sia le separazioni personali, sia i divorzi, sia le procedure di modifica delle condizioni di separazione o divorzio, quindi in procedure che prevedono composizioni diverse dell'organo giudiziario, siccome riti differenziati (presidenziale, collegiale, camerale).
Ancora più laconico e disarmante il compito affidato al presidente, il quale ricevuto dal P.M. l'accordo non conforme, fissa l'udienza e “provvede senza ritardo”.
Nel caso di specie il presidente del Tribunale di Torino è stato chiamato a fissare udienza di comparizione a seguito dell'invio dell'accordo, ritenuto contrario agli interessi dei minori, da parte del pubblico ministero.
Viene qui subito in rilievo l'ulteriore problema: quale soluzione nel caso in cui i coniugi non adeguano l'accordo ai rilievi del PM? E ancora, stante l'esile tessuto normativo appena varato, ha il pubblico Ministero un obbligo di indicare in quali termini e per quali aspetti l'accordo si presenta difforme rispetto agli interessi del minore (una sorta di obbligo di motivazione del diniego di autorizzazione)?
Il Tribunale torinese cerca di fornire una prima soluzione, pur non nascondendo un certo imbarazzo.
Nel caso sottoposto al suo esame si era di fronte all'ulteriore particolarità per cui i coniugi, comparsi all'udienza fissata ex art. 6 II comma L. 162/2014, non avevano inteso adeguare l'accordo ai rilievi formulati dal P.M., bensì avevano ampliato l'oggetto dell'accordo, creando forti perplessità sulla soluzione da dare al caso.
Due sono le soluzioni possibili tratteggiate dal giudice: quella di una giurisdizionalizzazione a posteriori del procedimento, che vedrebbe quest'ultimo tramutarsi in un normale procedimento di separazione, divorzio o modifica; ma è soluzione alla quale ostano i principi della domanda e quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
L'altra soluzione, quella fatta propria dal giudice del capoluogo piemontese, è quella che prevede che l'autorizzazione possa essere data dal presidente, solo ove le parti si adeguano in toto ai rilievi posti dal P.M., mentre nel caso in cui ciò non avvenga, ovvero allorché le parti manifestino la volontà di modificare significativamente l'accordo, l'unica soluzione percorribile sarebbe quella di invitare le parti al deposito di un ricorso per separazione, divorzio o modifica, dovendosi intendere tale volontà come implicita rinuncia all'accordo di negoziazione sino ad allora promosso.
Soluzione non scevra da inconvenienti e tuttavia, secondo le intenzioni del proponente, maggiormente rispettosa del principio di economia processuale.
Tribunale di Torino, 15 gennaio 2015 primi problemi applicativi nella negoziazione