La recentissima sentenza n. 36503 del 10 ottobre 2011, della Sesta Sezione della Suprema Corte, qualifica come vessatori i comportamenti iperprotettivi di una madre (con il concorso del nonno materno) sul figlio minorenne, riconoscendo in tali condotte la materialità della condotta del delitto di maltrattamenti.
Il caso, del tutto particolare, riguarda la realizzazione di atti qualificati dal giudice del merito come “eccesso di accudienza” e consistiti nell’impedimento di rapporti con coetanei (il minore cominciava ad averne solo in prima elementare), nell’esclusione del minore dalle attività inerenti la motricità, anche quando organizzate dall’istituzione scolastica, nonché nell’induzione della rimozione della figura paterna, costantemente dipinta in termini negativi, fino ad impedire allo stesso minore di utilizzare il cognome del padre.
Al di là della peculiarità della condotta, che in qualche modo sembra ampliare il già vasto ventaglio delle modalità in cui possono manifestarsi gli atti vessatori nel delitto di maltrattamenti (che è, come noto, reato a forma libera), merita qualche riflessione il percorso motivazionale della Corte a proposito dell’elemento soggettivo del reato, su cui il ricorrente aveva appuntato il terzo dei suoi motivi di doglianza.
il commento la sentenza