La misura di protezione dell’amministrazione di sostegno da qualche tempo è presa di mira da suoi detrattori, che non perdono occasione per metterne in evidenza limiti e inefficienze.
Come ogni cosa umana, pure l’amministrazione di sostegno presenta limiti e difetti, talvolta resi più vividi da fenomeni contingenti e concomitanti quali, solo per citarne alcuni, la sproporzione dei giudici tutelari rispetto al numero ormai esorbitante dei casi portati alla loro attenzione, il ridimensionamento del welfare sociale, la tendenza a spersonalizzare e uniformare la misura di protezione, la tendenza a considerarla a tempo indeterminato, vale a dire per sempre, anziché un supporto per un tempo determinato.
Ogni situazione ha le sue peculiarità e come tale andrebbe trattata.
Viceversa, si tende a prendere posizione contro la misura di protezione quasi fosse un male in sé.
Le distorsioni vanno combattute, ma non è mettendo all’indice l’amministrazione di sostegno che si aiutano gli sfortunati che ad essa fanno ricorso o in essa si imbattono.
E proprio perché ogni caso è a sé, porto ad esempio un mio recentissimo caso.
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