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Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia

  • Diritto all'identità personale

    Sopravanzata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (sentenza Cusan Fazzo contro Italia del 7 gennaio 2014) la Consulta è costretta a modificare il proprio precedente orientamento in tema di uguaglianza nell'assegnazione del cognome al figlio, ma non sino al punto di riconoscere la possibilità di attribuzione del solo cognome materno al posto di quello paterno. Per fare ciò, scrive la Corte, occorre un intervento legislativo, destinato a disciplinare organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di parità.La questione, ......

    Sopravanzata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (sentenza Cusan Fazzo contro Italia del 7 gennaio 2014) la Consulta è costretta a modificare il proprio precedente orientamento in tema di uguaglianza nell'assegnazione del cognome al figlio, ma non sino al punto di riconoscere la possibilità di attribuzione del solo cognome materno al posto di quello paterno. Per fare ciò, scrive la Corte, occorre un intervento legislativo, destinato a disciplinare organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di parità.La questione, sollevata dalla Corte d'Appello di Genova, della illegittimità costituzionale rispetto agli artt. 2, 3, 29 e 117 Cost., riguarda una disposizione non scritta, bensì desumibile dal sistema, ad esso immanente, che prevede l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio nato in costanza di matrimonio.Nella famiglia fondata sul matrimonio rimane tuttora preclusa la possibilità per la madre di attribuire al figlio, sin dalla nascita, il proprio cognome.La Corte ritiene che siffatta preclusione pregiudichi il diritto alla identità personale del minore e, al contempo, costituisca un’irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non trova alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell’unità familiare.Non è più invocabile la garanzia dell’unità familiare quale ratio giustificatrice di una siffatta deroga al principio di uguaglianza, poiché l'unità si rafforza nella misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla solidarietà e dalla parità.E' mancato alla Corte il coraggio di spingersi oltre l'ultimo ostacolo. Rischia per questo di rimanere costantemente surclassata dalla giurisprudenza sovranazionale.

    Corte Costituzionale, sentenza 21 dicembre 2016 n. 286